Pubblicato su: Il Giornale d’Italia, 1 Febbraio 1942
ASCOLI, 31
Natale dell’anno 1543. La casa di Bonamico rimane buia e silenziosa nella stradetta angusta. Sono in casa soltanto il vecchio Bonamico e la minore figlia, la bellissima Altichiara.
Partito per negozi nell’alta Marca il fratello di lei Paolo, e sposatasi da poco la maggiore sorella Laura a certo Leone Varani, signore di molte terre in quel di Fermo, Altichiara è ormai regina della casa e i servi hanno ordine di vigilare da presso la sua presso la sua persona, ché certe voci .giunte all’orecchio di Bonamico, fan credere che un Pierello Malespini le ronzi attorno, dimentico dell’insanabile odio, mal celato e peggio contenuto, sorto da remota epoca a dividere le casate dei Malespini e dei Bonamico . Di recente anzi i dissidi si sono acutizzati e la sorda collera affiora in piccoli episodi i quali non possono degenerare nel fatto di sangue per timore delle giuste ire del nuovo Commissario Pontificio, mandato da Paolo III a frenare i bollori della turbolenta città. Ma la gente dei Malespini morde il freno in attesa del momento propizio, per farsi giustizia d’un recente torto subito per via di certe terre confinanti con la proprietà del nemico, frodate e incamerate con raggiri e soperchierie, complice involontario un defunto avo, imbelle e sconsigliato, il quale, con atto regolarmente reso di pubblica ragione, concedeva diritti non ben precisati sulle terre in questione.
Il momento propizio è giunto.
Il leoncello Paolo è per mercatura lontano dalla città e il vecchio disartigliato è solo con pochi servi e la soave Altichiara nella casa quasi sguarnita d’armi e di uomini validi.
I cittadini son nelle chiese per la messa grande e un pugno di gente decisa a tutto osare può sferrare il colpo mortale ai Buonamico.
Il pugno d’uomini muove all’assalto della sguarnita piazzaforte e non s’avvede di un’ombra che scavalca il davanzale della bifora ornata, che lesta ritrae la penzolante scala di corda, che piomba nella camera buia, accolta da un’altra ombra in bianche vesti e serrata da presso in un amplesso frenetico e febbrile.
La gente dei Malespini non si avvede del più forte e fresco virgulto della casata, del giovane Pierello in giustacuore cremisi che, come per lunga e dolce consuetudine, raggiunge l’amata nell’avverso campo.
Quelli dei Malespini s’asserragliano attorno al palazzotto nero e tentano i punti deboli della fortezza: si approntano le balestre e si piazza l’ariete contro la porta bullonata.
Due armigeri più audaci, di secco fegato, tentano la scalata verso la bifora dalle imposte inspiegabilmente aperte al freddo della notte decembrina.
Ma in casa dei Bonamico non tutti dormono e la servente, la complice ancella di Altichiara, ode rumore insolito e dà voce di allarme.
È d’uopo che Pieretto fugga prima che sia sorpreso dalla gente di casa e di fuori.
Salta pronto sul davanzale, ma più pronta la balestra scocca sul troppo facile bersaglio. Il dardo si pianta nel bel mezzo del giustacuore di velluto cremisi e oscilla un poco, prima che il corpo s’afflosci e piombi a capofitto sul lastrico col disarticolato aspetto di una marionetta non più sorretta dai fili.
Un Malespini si lancia sul caduto con la misericordia affilata in pugno e vibra uno, due, dieci colpi sul corpo esanime, prima che giunga il bravaccio, armato di lancia, a far lume.
Vedono il volto del caduto quelli dei Malespini e un urlo, seguito dall’altro acutissimo di Altichiara pencolante sul davanzale della bifora, si leva nella notte fonda e fredda di Natale.
La spedizione d’arme si muta in corteggio funebre e le casate dei malespini e dei Bonamico si apparecchiano alla mala festa.
Nell’una il pollone più gagliardo si è spento nel più tragico e triste dei modi, mentre nell’altra si appronta un velo monacale per la bella Altlchiara.
La tragedia eschilea di Pieretto Malespini e della soavissima figlia minore di Bonamico è finita.
Rimane la bifora ornata di “Rua della Cisterna” sulla quale la ululante ombra bianca di Altichiara recitò il suo dolore.
Questa storia non è vera. L’ho inventata sulla traccia di un segno inciso nel nero travertino di una bifora antica, forse con l’aguzza punta di una misericordia, in una parentesi di pace tra i fragori e i lutti delle civili guerriglie.
Il segno è quello eterno che chiude nel contorno di un cuore le iniziali intrecciate di due nomi.