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“Sì — Ti salga puredall’animaquel filosottiledi malinconia.Ti sia dolce.E segui la tua vitasegnata da frattedi rovo.In fondo si accendeil faro della tua luce.A paro a tecammina la tramad’un sogno.Ti segue il sogno.E l’anima è desta.Ascolta la tua voce.Festosa come tinnula campana che suoniper sagra.È lieta.Ché sente un germogliodi fiori euna festa di solene la tua vita.La tua vita!Il sogno la rabesca di filated’oro —di ragnatele di luce —di tirate lente e lunghedi canzoni —mormorate a piana voce —stancamente — in una seradi luna —Fonda —Densa di desideriaccoraticome di profumie di stelle —Pendule —come stilledi pianto.E ti senti accantola poesia del tuo sognoche non avrà più finedi spasimo.”
“Tu insegui un vanopensiero di poesia — e lontanoti porta questa tua fantasiacui la foganon piegaalcun freno. Poesia si nega.Altra cosa che fugge —che invanotu tenti afferrarenel volo — cui tendiinvanola rete a brandellidel tuo pensiero,ch’è stanco.L’hai pieno di sogni.Popolato l’hai di chimere.Un biancostuolodi fantasmiin esso s’agita.Gettato v’haigli incantesimidi tuttele notti lunari.Tutti i profumistillato v’haidelle lontaneprimavere in fiore.V’odi cantarefontane.V’ascolti salirdi vocidi folla che mormora.Vi scorgi una mollecorolla,schiusa nel fondo.Tante, tante cosetu sentie tu vedi. Poi tutto crolla,si sfasciain frantumidi mille colori —come di bolla lucenteche scoppiasfiorata da un’ala.Smuore la vena, S’accascia la fantasia.Ti senti un anelitocome di corsa sfrenatain regionilontane.Rimani muto. Ti cogliel’oblíodelle cose nascosteintraviste appena. Ritorni saggiopoi ché lasci le rose ai roseti.”
“Non ti guardare.Non insidiarti col sospettarete stesso.Tu non puoi sorprenderti, poiché — in fondo — anche tu sei buono. La tua veste è tale darenderti cattivo anche agli occhidei più vicini al tuo cuore. Troppo ti sei formatoin un’aria di finzione e di commedia.Tua volontà ti fece esperto nell’usarearmi che non sono per il tuo pugno.Gli altri li inganni.Però non riuscirai a ingannare te stesso.Mai.Ti senti già scoperto in molti punti.E tremi.Ma non devi tremare.Sei forte.E ci sono ancora, per il mondo, i buoni.Quelli che non sapranno ridere di tecome altri risero. Tu li vincerai.Forseli ricondurrai verso regionidi purezza. Sarà giorno di gioiaQuello che ti vedrà col tuo verosorriso.”
“La tacita seravolge lenta alla nottee ancora un ricordo di soleindugia sulla nube sottileche rincorre il giornofuggente oltre i monti,incontro agli uominiche si destano.A noi il sonnopietoso verràcon l’illusione di sogni,e i faticosi pensierii delirile inappagate setisi placherannonegli immoti stagnidi una esperienza di morte.”
“La notte uccide le voci.Si sfascia il cieloe crollano le stellein un mare d’attesa.Un fuoco d’artificiodi pazziesi accende nel mio cuore:Dio, dammi un’ora di sostanel cammino!S’alza oltre il collela lunalà, dove si coricòl’ubriaco sole.Il crisantemo pallidopiange i suoi petalisui cristalli lividi.”
“Non c’è luce di veroin questo muovere faticosamenteverso la riva di sognifatti di nulla.All’impossibile approdol’unghie non hanno presae nel cuore l’anelitoalla meta intoccabilesi rinnovacon la pena del batter vanoche il desiderioaveva vestito di universo.”
“Io non so se sia la mia vita al suo termine oppure all’inizio. Un altro inizio. Poi che credo si rinasca, morendo, ad una vita nuova e migliore. Più equilibrio credo che regoli al di là la vita degli uomini e maggiore una dose di bontà e di pietà la infiori.Qui l’odio e la tristezza. Di là il sorriso e il perdono.Presto — non passeranno due lune —sarai un uomo di venticinque anni.Il peso greve di affannie di tediose cure e di tormentoe di represse iredi ringoiato rimpiantoti sembrerà più lieve.Ancora un anno de la tua breveesistenza sarà passato.Un anno di meno da vivere.Di un anno ti approssimialla morte.Alle sue porte ti sentidi un anno più vicino.Pur dicono che non dovrestidesiarla tanto la morte.Dicono ti sia buona la vita,e bella.Ma la tua sorte è dura.Ma più forteuna voce ti dice le tristi coseche l’anima non ti regge piùche l’anima più non raccoglietantopiena è d’amaro.Un’ansia orrendaa stento il petto raffrena.Ansia di morte.Torva la mente si chiudein un’attesa muta di pace —l’animaanch’essa si tace —anch’essa attende.La luna in un suo lento —uguale—eterno volgere verso una mètanon tôcca maiguarda da millennigli uomini ridere, piangere —nascere morire —e mai cessa di andare. E va — E guarda —e vede le amare mie fedi spentele morte cose dell’anima —né si attardané sostama va — silente —gelida, bianca —eterna — Per lei c’è l’universoe Dio.Di un suo raggio s’illuminauna tremula lacrimanascente su ciglia avare dipianto.E passa. Si disfà il raggios’allunga su l’arsa gola e si spegne. Monta la luna nel cielo terso.La seguo nel suo lento andare — e mi perdo. Più alcuna cosa vedoche il cielo e Dio.”
“Io non t’amo — vedi — non t’amo.Se m’urge al labbro un bacio disperatoè perché è sola l’anima insaziatae vuol compagna dolce che l’acqueti.Lo so — sulle tue labbra ferma è la parola che giammai fu dettané a disserrar le labbra tue, mi valsedel cuor la fede — oh, ringoiate lacrime!Quando? Quando dimenticarepotrò senza morire l’aspro saporedei baci tuoi negati e poi donatie poi negati ancora? Quando potrò?”
“Fanfare di lucee brevi pause d’ombraappese ai contorti stelidelle odorose conifere.Ratto svolare di farfallevoci lontane e pianesotto l’azzurra sonnolenza del cielo.Calida e greve l’aria.Immota l’anima e tardo il pensiero.Mezz’agosto.”
“Stagioni, ore cadenti dell’eternità, che inseguite il tempoe segnate per gli uomini,sulla traccia di memorieimpregnate dei vostri climi,il cammino verso l’ultimo crepuscolo;stagioni, io amo di voile faticose giornate dei trapassi, nelle quali il passatolotta angosciosamentecol divenire che indugianelle atmosfere ambiguedell’oggi con la memoria dell’ieri.Stagioni, in voi si accendela nostalgia delle occasioni mancatee s’illumina di veritàil sogno delle ore che non sono nate.”
“Scialbo scheletro d’alberoche ti annullinel crescer di un fumo di nebbiee diventi cielo,in te ritrovo il sensodella vita,i cui sogni si spoglianodi incanticome i rami di foglie,e tutto annega, giorno su giorno,memoria su memoria, nell’incalzar del tempo.È bello annullarsi,lasciarsi beredal cielo.”
“Un grasso colombo,stupido e pavidocome un giovane borgheseinnamorato,passeggia sul tettopersuaso che i fioriselvatici e le gramignefremano di piacereallo spettacolo della sua morbida bellezza.Le bocche di leone e le gramigneignorano il grasso colomboe trepide affidanoal venticello di primaverala segreta ragionedi un sottile gaudioche è nutrito di solee d’ariae di vapori trepidie profumati di salmastro.S’io potessi, come le gramignedel tetto o i fiori selvatici, godere l’inesprimibile donodi questa primaveragià contagiate di estatee morire un pocoad ogni oranell’estenuante andaredella stagione al declino!E dimenticare di mela vanità il tempo le deluse fedie degli altril’inganno dell’amore mentitoo la ripulsa avarache chiude la viaalla consolazionedel sogno.”
“Assunti dalla memoria, Senza tempoe senza condizione,tornano i voltidelle donne che amaie di quelle che —amanti—non riamai.Ma non hanno vocee stento a leggerein ognuno d’essii segni dell’anticoincantoche la memorianon sa richiamare.”
“Denti per mordere.Catene per catenare.Artigli per uncinare.Corde per fustigare.Spine per coronare.Lagrime e pianto.Pianto e lagrime.Urlo di pena che resta.Strazio di carne ferita —ferita che unguento non sana.Ruggito di belva che muore,vagito di bambolo in fasceche ignora la vita.Immagini opposte e nemichedel mio pensiero un po’ guasto.Angoscie del lembo rimastodel cuore moncato.Mani per carezzare.Labbra per baciare.Occhi per adorare.Cuore per amareanima per sospiraresenso da consumarenel desiderio che non si placa.Voi siete la mia fortuna.La mia fortuna sietech’ha per custodia un forzieredi tormento senza mai posa.”
“Una pesta bautta. Un velo —nero—un sentor moribondod’ambra —e un rimpianto di lontana cosa perduta—Larve disfattedi ricordo antico,ch’io fermi in voi l’immagineremota.E mi sovvien d’un voltoch’io non vidi—che pena!—e di piane parole mormoratedi ladre labbra d’un amanteignota.Cela il volto la mascherama svelaluci d’animape’ fori accesi di brevi scintilledi riso.“T’amo. Ti voglio.ma che tu non sappianon sappia mai di meil volto e il nome.Come in un sogno brevel’amante passae mille volti e mille nomiin unoassomma — il soloche sogneremo eternamente —Passar passareed eternar nel sogno —a le tue notti —l’immagine ignorata.”Disse. Ed amò.Donò di sé nell’ora brevequanto amor non ebbimai.Poi più nulla. O qualcosache le maniladre divelsero al fantasmadell’amore.Un velo nero —un sentord’ambrae il cavo calcod’un volto ch’io non vidi.Un fragor di tuonoa le orecchiee un franar di stellesu le pupille disperatefisse a cercare il volto dell’amore.”
“Te — Centauro — la nube genitricescagliò dal cielo, in sonoracorsa, su le battute strade de l’infinito.Te dominava la furiadi pingui prede,strappate al mistero d’antiche selve. Te, aduso a le lotteselvagge e ai canti di vittoria,vinse un magato inganno.Io nel tuo segno ebbi vita,e al predare e a le lotteaddestrar mi piaceval’anima, e a le corse pazzeverso soste lontane.Tal come a te l’insidiatesse per me, magato,il drappo della follia.Me non vince. Libera l’animaadergersi nell’aria verso lamadre nube assisa in cielo.Seco, nel grembo, ritorno a l’infinito, bevo linfa d’azzurroe m’addormento,dimentico e placato.Sola in cielo — la nube che a l’orizzontesfioccasi in caligine —verso la terra e il maledove rinasceròdomani.”
“INCANTESIMOAttorno a te vo’ tessere una retefitta e tenace da le maglie d’orotutta tramata di sogni e malìedi belle fole e canzoni d’amore.Antichi miti vo’ resuscitarefavoleggiate gesta di creaturecui vita e sogno seppero foggiarealme di Dei, parvenze di mortali.Farti prigione io vo’ de la mia ragnatessuta d’oro, di malìe tramataove, come su fili d’arpicordio, agili dita traggon melodie, zefiri azzurri tessono canzoni.Ne la gabbia canora in un batter d’alaanelo d’orizzonti sconfinatis’affannerà su le pareti d’orosino a che un magico gioco di parolesussurrate e non dette — come un fioresbocciar farà il miracolo d’amore.Cessa l’ala di battere — l’anelodi libertà desìo più non ti rode.Perdutamente — le pupille smorte fisse a l’incanto d’immortali formeper te resuscitarte dal misterodi lontane memorie — le canzoniascoltando di parole non dette –in rapito abbandono — tra le bracciaforte serrar de la prigione d’orovorrai l’artiere. E de la fantasiatutti i sogni sognati e non sognatil’ordito serran de le maglie d’oro.Musica i baci — musica i sospiri —Acceso folgorar di raggi d’oro —La prigione tramutano in giardinoFolto d’aiole dai purpurei fiori.È legata d’un bacio la memoria.Rondine folle — rondine irrequieta —Per te ho tessuta la mia ragna d’oro.”
“Distese sul bruciato arenile, prone e invereconde,callipigie dee senza altari,ringoiano le bavedi non confessati desiderie spiano cautei passidi adolescenti tremebondi,i cui cuorirullano come tamburi.”
“Occhio di Ciclope annoiato,una sola finestrasulla parete grigiadall’intonaco gobbo,specchia — tra le sbarre quadredi una sottile inferriata —un malinconico cielo domenicalesenza colore.In un canto della strada desertaun gatto diteso sul fiancosegue pigramenteil volo di un moscone impazzito.Dietro i vetri della finestra sbarratai grandi occhi della collegiale pallidaspiano il senso delle coseche — immote — aspettano, dopo l’angoscia crepuscolare,l’appagamento della notte.Al di là delle sbarre le cosehanno senso di vitae al di qua la morteintorbida il pensieroimpazzito — come il moscone —in un volo senza sostee senza meta.”
Sgomento (xylografia per la poesia omonima, 1925)
“Vidi una notte (non era nel sogno)risorgere a vita — destata da possente soffio d’Iddio ignoto —Venere Anadiomene —Seguia la pupilla — smortanell’ansia del desiderionon spento e non saziato —la curva dei fianchi,purissima — dei seniil fiore, dischiuso appena —né mai — a ricordo di mia memoria —sentii più impetuosocorrer le vene il sangue —Su le sue labbra(purpureo sorriso apertosul ferino sfilarsi diperle candide, l’unaa l’altra serrata, dei suoi denti)fiorivan baci non scoccati —Nel cielo buio delle sue pupilletremavan luci e scintille —come stelleaccese di un subitoe più presto spente —La sua chioma densa ricadeva —pesando come la sua massaoscura, sul biancoreabbacinante della sua pelledi raso —Un vivo agitarsidi viperette nerecorreva le sue spalle — talchéle mani — indugianti a lungosul tepore della sua carne — spesso si ritraevano trepidedel contatto stranamentegelido e sfuggentedei suoi capelli di Medusa —Poi che la mirabile creaturafu mia (ardeano ancorai sensi di desiderio e di febbre)l’occhio (non pago anch’esso)le corse ancora —golosamente —Oh! meraviglia!(non era nel sogno)la creatura mirabile — risortada un lontano passato —fatta — per virtù di miracolocarne viva dal massodello statuario di Atene —la creatura mirabile avevaun cuore —Lo vidi (fo sacramentoche gli occhi mieinon mentivano) lo vidibattere sotto il rasodella sua pelle —sommessamente battere —segnare un ritmodi palpiti affrettaticome per corsa sfrenata —E — dunque — aveva anch’essa un cuore — Un cuore coi segnidi una segreta ansiadi bene —con una reale vitadi spasimo —con un disperato desideriodi dolcezza —con un segnato destinodi dolore — Venere Anadiomeneanch’essa portava secoil suo presagio d’angoscia — Un nasceredi sogni —un vanire —un finire—un morire —”
“Rondine di breve vitanel meriggio ardentesaettavi l’ariaperdutamente.Ridevi e strideviall’azzurroall’odor dei tiglial polverio d’oro. Poi l’urtosul parabrezzaabbagliantee la caduta a piombosotto la ruotache macina l’asfaltoe la tua vita.”
“PERIFERIATrema nell’aria un presagiodi odor di tiglio.In cielo cristallizzate fantasimedi sfioccate nubi d’estatepregne di calura e di noia.Risorgenze di aboliti giorniin voci pese e sonnolente,esalanti dall’animacome da una bara i miasmidella decomposizione.Il viandante tenta l’asfaltoin un ritmo da rallentatoree cerca la cicala accidiosaentro la frasca dell’ippocastano, oltre la siepe bruciatac’è la carogna d’un caneronzante di tafani.”
“Cade la dolce oraper la quale rendi grazie a Diod’essere.”
“Nei silenzila presenza di Dio.Ma, o Dio, come è avarala vitadi silenzi!”
“Ti bacerò come si baciala mortese si è stanchi.Ti stringerò la manocome il bimbo alla madrese ha paura.Carezzerò i tuoi seni,dolcemente,e ti farò mia sposa.”
“Divenire cautamente nel tempo,arrestarsi alle sogliedell’ultima stagione,con lo stuporedi un fanciullo ingannatoe il disperato candoredi un poetasenza canto.”
“La tua voce opacasembra — tanto è scura —generata dalla notteche già serpeggianei vicolie s’annidanella frasca bassadegli orti.Ma non parlare.Con le tue ditaserra le mie palpebrecosì ch’io veda — da cieco —il gusto e il sensodei tuoi baci.”
“Pure se canti — pure se nel canto ti accoriin tirate che sanno di pianto —pure se canticome a notte di estatecanta una voce lontananell’ombra — e tu sentifiorirti nel cuoreuna deserta ansia di bere —pure se cantila tua penaresta.Non tregue conoscelo spasimoche s’accoglie al tuo core d’intorno.Né mai si arresta di battereil cuoreun rapido ritmo di corsa verso una mètafuggente.Sempre domani.Tanti domani corsero — ed ancoradomaniti aspettano.Quanti?Hai tu sete di baci?E tu attendi.Ti sazi di amaro.Hai tu fame di bene?E tu attendi.Ti sazi di stenti.Hai desideriodi sognoche plachi?E tu attendi.Ti sazi di folli tormenti.Bisogno tu senti di pace?Domani.Domani e domani.Sempre.Quando?Tu segni una data: —Domani—”
Plenilunio
“Il polline che ti feconda,sogno torbido di tutte le mie notti,è intriso nel sanguee l’inquieta anima —che bevve alle fonti dell’illusione —s’avvelena dell’acre suo profumo di morte.Dove un giorno vidi dunquela verità e quando il sognosi generòalle pure fonti del bene?Ho nella memoria il ricordodel rosso aquilonesul quale viaggiavanoI sogni e le fedidel fanciullo che uccisie il cui sangue incontaminatoabbeverò il malefico polline.Un incubo non nato ancorami porterà, sull’aquilone rosso impazzito,alle soglie del nulla.L’amore, io ti dissi— e la notte abbrividivanel bacio dell’alba —l’amore è la più dolcemenzognache gli dei regalanoagli uomini.L’amore — io vedevol’agonia dell’ultima stella —l’amore, dicesti,è il viatico offerto dagli deiagli uominiche cominciano a morireaprendo gli occhialla luce.Come un Dio che, gaioe cosciente,sperimenti la sua forzain un gioco crudele,io so ridere d’ogni malee uccidere in meogni residua pietàper l’angoscia dei vinti.Dissetarsi con la lagrimasapidadel nemico stupido, caduto nella lottaineguale,è meglio che bere alla fonte riccadella mortificazione.Sì, io sono uguale a Dioe — come il Dio cosciente e crudele —affilo l’arma bianca del mio risosulla cote dura e gelidadella mia anima pietrificata. ”
Volo di rondini intorno al campanile – Piatto in maiolica
“L’ala — che vinse il pesodella inerte materiae liberò nell’azzurrola rondine pazza di primavera —l’ala, già saziataalle fonti dell’infinito,s’abbandona spezzatasul corpicciolo anelante,non più attoai garruli volie condannatoall’opaca terra.Reduce dall’ebbrezzadell’infinitola rondine feritaha già dimenticatol’azzurro e l’ansiadelle ascese nel sole;goffa e pietosastriscia e sussultaai morsi del dolore,mentre con l’ala intattaaccenna al faticosotentativo di volo.Poi si queta e giace,vinta dai rinnovati straziad ogni moto.Solo il cuore battepiccolo cuore senza voce, e la mano pietosa—umana—come l’altra perversa che feriva, ne accelera i palpiticol terroredi un nuovonon conosciuto male.”
“CAPOGIROIl selciato duro e le stelles’affondano in rosse dissolvenzee le case ruotano vorticosein una sorta di gorgoprofondissimo e tetro.Rintocchi di campana,urli di sirene,voci morbide e soffocatenero e silenzio.Uno, due colpi del cuorealla gola,luce di baleno e voci risorgentidal nulla di una notte già abolita.Uno, due passi sul selciatoe l’uomo cammina — esitando — dopo un breve gioco con la morte.”
“Stanotte un filo di malinconial’anima tiene sospesa ad una stella.Lungh’esso sale lenta la malìad’un canto lene, una serenatellacome tra sonno e veglia a volte s’odenata da un sortilegio, una magiad’amore, allor che il cuore rode vanal’ansia di un sogno, allor che nelle venepiù forte il sangue preme e su le labbrala nostalgia d’un bacio stilla fiele.Lungh’esso il filo, su, sino alla stellaesile voce, voce di richiamo, sale stanotte la serenatella.Immota stella, non la mia canzonemuta su in cielo l’algido lucoredi te, non del cor mio l’empito immanecome d’onda incalzante che alle venes’infranga, muta il tuo lieve palpito.Fredda rimani ed immutabilmentetrema il tuo cuore in cielo. Invano l’arsomio labbro anela una fresca ed aulentegrazia di baci che mai furon dati.Invano. Poi ché se in un solo baciovita o morte potessi tu donarmi,tu, come stella che immutabilmentesplende su in cielo, tu, perdutamente,reclino il capo, in questa notte illume,al palpitar di mille stelle in cielo,l’avaro labbro al bacio mio negareno non sapresti. No. Ché miele e fielesu la mia febbre distillar vorresti,mentre con dita ansiose le tepentimembra ed i seni accesi di lucorid’alba e le sparse chiome carezzaretrepido ora potrei. Ma questo è sogno, forse è malìa, non è che sortilegiodi notte illume. Ebben, nulla m’importa.Se i tuoi baci son fiele io vo’ stanotte morire. Vieni. Tu vinta ora ti stendasotto le stelle, nella notte illume.Vieni. Se il labbro tuo dolce di miele darmi non sa, ma tossico di baci, vieni — che ancora in questa notte io possasovra te chino — disperatamente —bere al tuo labbroil bacio della morte.”
“Quel cielo corso di brividilunghidi stelle tremule.Quell’aria greve di profumisalienti su da la terra in fiore.La caldura affocatarotta a trattidai soffi tenuidi vento che seco portavanosentore di giardinilontani sfiorati passando.Tutto a la memoria torna.Tutto. E te rivedoe i tuoi occhi — ne l’ombra —che cercavano i miei.Ed i miei non risposeroal muto richiamo.Lontano salia versoil cielo una voce di canto.Non era in fondo a l’animache una voce—piccola voce —piana—come udita nel sogno. —Ricorda—diceva — né vanasalì su dall’animaal cuore.Ché presto in un tuffoviolento risorsela chiara visione dell’ierilontanoche una folataimprovvisa di ventoruppe d’un tratto.L’ultima nota suonòcome un piantosommesso di bimbostrozzato da un groppopiù amaro.Gli occhi miei non videro.Era lontana l’anima.Camminando a paroa te, fresco fiore di viola,pensavo a le morte cosedel mio passato.Tu negli occhi leggesti.Mi prendesti una manocon la tua lievee l’altra mi ponesti — aperta — su le pupille.Su le labbrasentii posarsi timorose e castele tue. Un attimo breve.Poi la tua mano da lepalpebre chiuse mi togliesti.Prima cosa ch’io vidi — il cielo —Si prolungava l’attimo.Poi mi volsi e ti vidicome la cosache ti dona l’obliodel tuo male e ti dissi —in un gioco breve di parole —una menzogna bella.Chinasti la frontesertata come per dionisiacasagra, e il bel corpo ti corseun brivido.Poi fu ancora il silenzioe uno stupore mutode le cose attorno. La notte dall’orerapide accolse fra i suoivelari d’ombra la nostra festa nuziale.”
“Mi han detto che in ogni stellaÈ chiuso un destino.Io raccolsi in una via astraleun destino non mioe trascino in un mondosconosciutoil peso di un’animae l’angoscia di pensieriche non so riconosceree che ascolto con lo stuporedei bimbi che tentanodi afferrare il sensodelle assurde storie dei grandi.”
Venditori di palloncini in piazza nel giorno di sant’Emidio – Schizzo a china
“l sole dei giorni di festae le fanfare lamentosenelle sagre di paesemi strappano al tempoe mi rifanno fresco —e giovane e facileal gioco degli inganni —il cuore.”
“Sulle labbra fermel’indice, in segno di croce,chiede il silenzio.Ascoltiamola terribilità sonoradel mareche batte la riviera,interminabilmente.Tonfi di gigantiche si tuffanocadenzano l’urlo del ventoe del palloredella tua carnes’illumina la notte.”
“Sono solo.Non voglio dimenticarela mia carnelegata alla carne dei figli,il mio cuore saldato al cuoredella madre dei figli.Non voglio dimenticaree non posso ricordare.Tento di ravvisare —tra la folla loquacee frivola —l’uomo del paese di pietrache mi racconti la storiadegli amici non accettati,dei nemiciche accolsi sotto il segnodel perdono.E sono solo.Senza la tenera carnedei figlie il coraggioso cuoredella madre dei figli.Nel mezzo di una inutilefolla loquace.”
“Dammi il soledi un tiepido pomeriggioautunnale,il sole che i vecchi infreddolitiinseguono sulle panchineal tramonto,perché la notte s’allontaniancora un pocoe s’allontani la pauradi morire.”