Vecchie stampe di Ascoli
(da Il Giornale d’Italia, 28 Novembre 1942)
ASCOLI, 27. — In una vecchia, stampa ai un. secolo fa, circa, il ponte e la vecchia Porta Solestà appaiono raffigurati secondo l’aspetto che avevano in quel tempo e mi pare che quel complesso di monumenti abbia perduto non poco d’incanto, a vantaggio sia pure del rigore stilistico e storico.
Un ponte romano, le sui spallette si adornano di merli di netta struttura medioevale, pecca evidentemente nello stile, ma si avvantaggia di un saporoso vezzo romantico, specie sulla porta elevata ad una delle estremità di esso, e coronata di merlatura la cui sagoma sta lì ad attestare come i costruttori dell’uno e dell’altro elemento di difesa, non la pensassero precisamente allo stesso modo, in fatto di politica.
Merli guelfi e ghibellini; il Papa e l’Imperatore che, a braccetto, contemplano la città turrita, grasso feudo da giocare a lancia e spada. Ci sarebbe da inventare una bella tragedia su questa stampa, se non ci fosse nel taglio e nel gusto chiaroscurale quel sapore romantico, da illustrazione del più dolciastro ed ottocentesco Doré.
E non sarebbe neppure necessario inventare; non ci son forse tanti drammi nella storia cittadina, da offrire lo spunto per una vicenda in qualche modo collegata al ponte o alla demolita porta? Per questa volta, dunque, risparmio ai lettori la favola o la storia e mi fermo a considerare la stampa, per riportarmi indietro nel tempo di un secolo e lunghesso il ponte passeggiare, in vista del fiume chiuso entro filari di verdi ed ondeggianti pioppi.
Ma c’erano i pioppi cento anni fa? Forse c’erano: tenerissimi, esili, forse appena dei virgulti con qualche fogliuzza alla cima, buona per la capra che verrà a mordicchiarla, stanca di brucare l’erbe rade del breve arenile. Comunque, se i pioppi adulti o giovincelli ci fossero, nella stampa non risulta. Si scorgono invece contro l’alte ripe, degli alberi impersonali, senza alcuna fisionomia atta a farne identificare la specie. Probabilmente querce; querce un poco manierate e disciplinate ad una funzione decorativa. I pioppi c’erano invece sino a qualche mese fa e sono da poco scomparsi — almeno su una delle rive — per volere di un proprietario forse poco sensibile alle naturali bellezze o forse troppo pratico e realizzatore.
Tornando alla stampa, viene spontaneo il dubbio sulla opportunità di certi ripristini e di talune sistemazioni che, per eccessivo zelo o scrupolo, riportano i monumenti al valore di un documentario, spogliandoli di quella patina che i secoli e le mode e gli eventi avevano lasciata, alterando magari la primitiva struttura e il sapore. Parlo naturalmente di patina, non riferendo il termine al significato colore, ma estendendo il valore del vocabolo a mutamenti e sovrapposizioni strutturali ed ornamentali.
Nel nostro caso, l’aspetto romantico del ponte con le due porte accostate, è stato certamente distrutto, o almeno attenuato, dalla demolizione di una delle porte, dallo smantellamento della merlatura e – diciamolo pure – dall’ultimo razionalissimo consolidamento, nel corso del quale non si è saputo trarre profitto del ritrovamento del vecchio selciato romano a lastroni irregolari di pietre, per riportarlo in vista, senza bisogno di avventurarsi in un sotterraneo cunicolo che peraltro formasse una parziale e sommaria, oltre che scomoda, visione del pavimento.
Non voglio con questo sminuirne il merito dei restauratori, che hanno compiuto opera veramente degna e sapiente. Ma mi domando se non era il caso di arrivare a qualche licenza per accordare le esigenze di un totale ripristino contemplante la restaurazione del vecchio selciato, con quelle del transito e della praticabilità del ponte. Ma è prevalso il parere che ha dato luogo all’attuale sistemazione e non vale quindi considerare i ma e i se di fronte al fatto compiuto.
Vorrebbe forse ora il lettore una erudita descrizione del ponte e della porta Solestà? Vorrebbe forse conoscere l’origine del nome – Solis statio, per un tempio al Dio Sole esistito nella zona — o comunque rendersi edotto delle vicende storiche legate a questo monumento antichissimo e testimone della nostra grandezza.
Ma di questo parlerò in un successivo articolo al quale questo — ispirato da una vecchia stampa — sarà servito da introduzione.
E non che io sia partito dalla pittoresca figurazione ottocentesca per manifestare un rimpianto; ho voluto piuttosto presentare ai lettori un aspetto dell’Ascoli che nello scorso secolo si preparava a mutar volto, scrollando dal suo dosso i residui delle passate mode con le nostalgie dei passati sistemi.
L’azione rinnovatrice ha forse determinato qualche eccesso, ha forse condotto alla distruzione di opere significative e di alto interesse storico; ma c’era un’altra storia che bussava alle porte, una civiltà nuova che urgeva incalzando e chiedendo spazio; ed era quindi naturale e fatale che qualche relitto venisse travolto nella marcia col tempo ed oltre il tempo.
A. Castelli